martedì 4 agosto 2015

Pungente e chiacchierona, l’ape non dimostra 70 milioni di anni

da LaStampa.it di Marco Belpoliti - 28/07/2015

È molto sociale: possiede un linguaggio per trasmettere ai propri simili informazioni essenziali sulle sorgenti del cibo e non solo. La Regina ha un cervello più grande del fuco, utile solo per la riproduzione

L’ape è il più popolare e amato degli insetti. Produce cera e miele, vola sui prati e sugge i fiori, e così li impollina. Ha il pungiglione e, se non la si disturba, raramente punge. Alacre lavoratrice, è stata scelta nel corso dei secoli da poeti e filosofi quale esempio di virtù. Bernard de Mandeville ne fece con la Favola delle api (1705) la metafora dell’incipiente rivoluzione industriale che si sarebbe dispiegata di lì a poco. Ma è stato un austriaco, nato a Vienna alla fine del XIX secolo, a trasformare radicalmente l’idea che abbiamo avuto per secoli di questo insetto. Karl von Frisch, professore di zoologia, cominciò a studiare le api a partire dai primi decenni del Novecento.

Allora era già un eminente zoologo, studioso di pesci; un anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale rese nota la sua sensazionale scoperta: le api possiedono un linguaggio, comunicano tra loro fornendosi informazioni essenziali sulle sorgenti del cibo e non solo. La cosa lasciò molti perplessi: se un insetto, seppur simpatico e positivo, possiede un linguaggio simbolico complesso, cosa dobbiamo pensare del mondo animale intorno a noi? Un autorevole zoologo inglese, Thorpe, andò a trovare von Frisch per appurare la veridicità delle sue scoperte, tutte raggiunte ricorrendo a esperimenti semplici ed efficaci. Lo zoologo austriaco spiegò al collega il linguaggio delle api, ovvero la loro danza che disegna una sorta di otto rovesciato, con un movimento rettilineo che traduce la direzione del cibo rispetto al sole, e mediante evoluzioni circolari indica la distanza dell’obiettivo da raggiungere.

Preparato un alveare sperimentale con una parete di vetro, von Frisch nasconde una ciotola e la va a posizionare nel bosco. Cronometro e goniometro in mano, Thorpe perplesso prova a decifrare il movimento ritmico delle api. Ottenuta l’informazione, si dirige verso il punto indicato dalla loro danza scodinzolante e trova la ciotola.

Nel 1973, insieme a Konrad Lorenz e Nickolau Tinbergen, von Frisch riceve il premio Nobel per Fisiologia e Medicina. Lo scienziato ha scritto alcuni libri straordinari in cui spiega molte consuetudini e particolarità delle api. La principale è che questo insetto, vecchio di più di 70 milioni di anni, è prima di tutto un animale sociale, per questo ha sviluppato un linguaggio. Gli insetti solitari si scambiano, nota Giorgio Celli nella prefazione al più celebre libro di von Frisch, Il linguaggio delle api, pochi segnali, per lo più legati alla riproduzione. Gli animali sociali, che appartengono a quello che Edward O. Wilson, sulla scorta di W. M. Wheeler, definisce «superorganismo», sviluppano invece una serie di relazioni e comunicazioni il cui scopo è quello di mantenere nel tempo la loro struttura sociale.

La struttura è gerarchica: l’Ape Regina si accoppia una sola volta per tutta la vita, nella sua vescichetta contiene gli spermatozoi con cui produce gli abitanti dell’alveare, che sono in prevalenza le api operaie, poi i fuchi, maschi atti alla sola riproduzione, con un cervello più piccolo della Regina e delle operaie, che vengono poi cacciati dall’alveare e muoiono di fame. Sono le operaie le vere padrone dell’alveare, dove vige una rigorosa divisione del lavoro, ma dove, secondo principi democratici, un’operaia, che inizia la sua carriera quale spazzino, può poi diventare una bottinatrice, ovvero cercare il cibo fuori dall’alveare.

In un libretto, «Nel mondo delle api», la cui prima edizione risale al 1927, von Frisch spiega come è fatto l’occhio delle api, composto da parecchie migliaia di coni visivi, come distinguano solo il giallo, il verde bluastro, il blu e l’ultravioletto, che noi non vediamo neppure, e come differenziano tra loro figure geometriche diverse. Ma è l’olfatto a essere decisivo. Nel nostro corpo questo senso si trova nelle profondità delle cavità nasali, mentre le api, e gli insetti in genere, non hanno un naso vero e proprio. Le aperture d’ingresso dell’aria non sono posizionate nella testa, ma su tutto il corpo e tuttavia le api non percepiscono in questo modo gli odori.

Sono le antenne a odorare: le fibre nervose che per noi sono nella cavità del naso, si trovano lì, fendono l’aria contattando le sostanze odorose. Per noi umani non è significativo se odoriamo un oggetto tondo o triangolare, corto o lungo, per le api invece sì. Possono «plasticamente» odorare, così come noi vediamo «plasticamente» gli oggetti e siamo abituati sin dall’infanzia a collegare le impressioni visive con la forma degli oggetti.

L’odore di una cella esagonale di cera è per un’ape diverso dall’odore di una pallina di cera. Le bottinatrici, le api che vanno di fiore in fiore, e conducono gran parte della loro vita fuori dall’alveare, hanno nella vista il senso principale, per quanto la loro bussola sia il sole, sulla base del quale si orientano nello spazio. Possiedono persino «manifestazioni intellettive». Con una serie di esperimenti, tra cui uno compiuto imbarcando un alveare su una nave in viaggio da Amburgo a New York, von Frisch ha mostrato che questo insetto possiede la percezione del tempo, arrivando a procurarsi un’ora di tranquillo riposo al giorno per risparmiare le forze per il lavoro.


Nel corso dei secoli l’uomo ha addomesticato le api, se così si può dire; ne ha fatto delle sue fedeli compagne. L’apicultura si è diffusa moltissimo, e i prodotti dell’alveare sono assai ricercati nella nutrizione ecologica attuale. L’ape è l’eccellente simbolo positivo nutrizionale, così come nella mia infanzia lo era della probità del risparmio. I tempi cambiano ma le api restano.